E quel giorno, in quel ufficio, si levò un urlo, il cui intento era quello di squarciare una porzione di cielo e con po' di fortuna, di rimbalzo, alzare qualche onda, tanto da spaventare anche gli impassibili squalotti.
Ogni giorno una nuova bizzarria, una nuova trovata.
Per incutere più timore si qualificò come pugilatore, che in realtà non era mai stato, probabilmente neanche nei suoi sogni a sospetta pertinenza culinaria.
Dolori esagerati, fitte e fettine panate, per concludere in un teatrino ridicolo e patetico.
Non vi era nulla che non andasse, se non la sua fibra interna mai sfoderata.
Agli squalotti era concesso, si fa per dire, solo un borbottio in alto mare e nulla più, senonché con un giro elegante e sapientemente respirato, uno di essi smascherò la sua natura pavida, mettendo fine a quella farsa originale, ma solo per il coinvolgimento forzato della noble art.
Il dispiacere rimase, era stata chiamata in causa un'arte che nulla aveva da spartire in quel contesto, già bistrattata, ghettizzata, relegata anche più lontano del cassetto dei sogni.
Per carità, che nessuno abbia affermato che siano scuole per aspiranti Santi, anzi, gli ambienti di contorno hanno gusti che più corrotti non si può, eppure, nella parte essenziale, dove si modellano i pugilatori, la lealtà e il coraggio sono vere.
La sua ala non era rotta, solo fratturata dissero e il calabrone bevitore di vino la portò in salvo.
Nessun commento:
Posta un commento